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È nato un nuovo gruppo facebook "GENITORI ITALIA - Contro il Bullismo"
Ne fanno parte numerosi Genitori di tutta Italia colpiti direttamente dal Bullismo , stanchi del silenzio , dell' omertà , della mancanza di supporti e della lentezza della giustizia .
Oggi Giornata Nazionale contro il Bullismo
Vogliamo urlare il nostro disappunto e dolore

S T O P      A L      B U L L I S M O 

Dopo il suicidio del padre che abusava di lei, le confessioni di una ragazzina sono finite in pasto ai giornali in una storia in cui nessuno l'ha protetta, dalla scuola alla madre che sapeva tutto.

La storia della ragazzina e del tema in cui ha raccontato l’abuso da parte del padre (che poi si è impiccato per la vergogna) è un concentrato agghiacciante di egoismi, pornografia, insensibilità e ignoranza. Di tutti i protagonisti della vicenda. “L’orco si è impiccato” titolava oggi un giornale. Già. Ma parliamo degli orchi rimasti in vita.

La ragazzina ha scritto un tema la cui traccia era “Scrivi una lettera a tua madre confessandole ciò che non hai il coraggio di dirle”. È la stessa traccia che hanno dato in un tema a mio figlio un mese fa. Posso dire, per esperienza, che i ragazzini, per un qualche esercizio dell’inconscio che mi è oscuro, riescono davvero a confessare in questo genere di temi cose che si tengono dentro per pudore, resistenza, vergogna. Lo fanno pensando che esista un patto di fiducia tra loro e l’insegnante. Lo fanno perché hanno bisogno di credere nella solidarietà e nella comprensione di un estraneo. Nell’assenza di giudizio.

Questo patto di fiducia che la ragazzina aveva stretto con l’insegnante, è finito sui giornali, nei tg, sul web, nelle chiacchiere di paese. Il tema della ragazzina, interi passaggi di quel tema, sono finiti sui giornali. Un abuso anche questo. Orco anche chi l’ha permesso. Orco chi ha passato le carte ai giornalisti assetati di confessioni pruriginose. Il preside ha detto che aveva denunciato un mese fa, ma che era rimasto tutto ben nascosto. E in effetti non può essere stato il preside a divulgare le confessioni della sorella della ragazzina al giudice. (“…non aveva la forza di confessare a voce il suo dramma perché non aveva il coraggio e, soprattutto, per non rovinare l’armonia familiare…”).

E però il preside ha pensato bene di rilasciare pure lui, dopo la morte del padre della ragazzina, una bella intervista al Corriere della sera in cui ci fa sapere anche come la ragazzina ha saputo della morte del padre (“Glielo abbiamo comunicato noi a scuola”) e in cui però, dopo aver rivelato dettagli su come sono andate le cose (“Quel tema l’abbiamo fatto fare di proposito…”), si lamenta perché sono usciti troppi dettagli.

E certo, invece lui l’intervista al Corriere la doveva proprio fare. Deontologia professionale. Infine, c’è la mamma. Secondo gli inquirenti, accadde già tempo prima un abuso di natura non precisata sulla figlia ventenne sempre da parte del padre, e lei ha detto che in quell’occasione il marito le aveva promesso che non si sarebbero più verificati fatti analoghi. Quindi la madre, con quattro figlie femmine, se ne stava zitta e si teneva il marito in casa, pur sapendo che qualcosa era accaduto e che qualcosa poteva ancora succedere. (o che succedeva, magari).

La morale immorale di questa storia è che nessuno ha protetto questa ragazzina. Una ragazzina che si fidava degli adulti. E gli adulti, in questa brutta storia, l’hanno tradita, usata, calpestata, abusata tutti. Non solo l’uomo che s’è impiccato a un albero.

[Fonte / Web: http://www.rollingstone.it/rolling-affairs/news-affairs/lorco-non-e-solo-quello-che-si-e-impiccato/2018-01-23/#Part3 ]

Ieri, al Senato si è svolto il convegno promosso da Apidge, associazione professionale dei docenti di diritto, in occasione del 70° anniversario della Costituzione e la presentazione del disegno di legge dei senatori Molinari-Liuzzi-Giannetti per l’insegnamento dell’educazione civica alle medie e il diritto nelle scuole superiori.
Segue l’intervento scritto della Responsabile Cultura Apidge – Avv Maria Giovanna Musone.

“Gentili ospiti,

ringrazio innanzitutto per l’invito rivoltomi e spero di fornire un piccolo contributo per sostenere il progetto di legge, a firma dei senatori presenti, che si propone di introdurre lo studio del diritto fin dalle scuole medie.

Il consigliere del Csm Antonello Ardituro, ex pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha scritto, recentemente, una lettera aperta per capire le modalità con cui contrastare l’allarmante fenomeno delle baby gang. L’incipit del suo discorso è stato il seguente: «Aiutateci!!! Perché da soli non ce la facciamo. Napoli così si spegne… ». Nel messaggio il magistrato ha sottolineato il dramma delle periferie. E ribadito: «Abbiamo bisogno proprio di tutto: scuole aperte di pomeriggio, parrocchie accoglienti, corsi di educazione civica…”

Ebbene, da tempo sostengo che i casi di violenza di genere, verso donne e minori vittime di violenza, stalking, bullismo e cyberbullismo, aree di illegalità drammaticamente diffuse specie tra gli adolescenti, nelle quali il vuoto o l’incertezza normativa da un lato e la non conoscenza del concetto di “reato” da parte di chi ne commette, sono terreno fertile per la progressiva esponenziale crescita di queste già diffuse forme di violenza. Tramite Apidge, quale componente del Direttivo, ho esposto questo mio pensiero alla Commissione Cultura della Camera dei Deputati in occasione della discussione del progetto di legge sull’Introduzione dell’educazione di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione”

Il fenomeno della delinquenza minorile ha assunto oggi i connotati di una vera e propria emergenza sociale, ne sono palese riprova i sempre più frequenti casi di violenza fisica e verbale che sfociano persino nell’omicidio preterintenzionale o nell’istigazione al suicidio. E’ fuori discussione che l’istruzione alla legalità e l’insegnamento della Costituzione, con i suoi richiami legati alla attualità e il suo impatto sociale, avrebbe un potenziale didattico di ampio respiro . Per cui, potrebbe apparire un insegnamento da affidare alla trasversalità delle diverse discipline, così come sostenuto da chi ha ideato la Buona scuola e da chi avalla il continuo tentativo di esternalizzare l’educazione civica e il diritto. In realtà, ritengo che l’introduzione delle discipline giuridiche nel complesso dell’offerta scolastica, fin dalle scuole medie, proprio come propongono i senatori Ginetti – Liuzzi e Molinari, non andrebbe subordinata al grado di sensibilità dei singoli docenti, o persino dei dirigenti, alla disponibilità di tempo, che rischierebbe di interpretarsi alla stregua di un corollario della materia di cui il docente è titolare. L’interdisciplinarietà, a mio avviso è più da intendersi come necessità che i docenti, di qualsiasi disciplina, colgano tutte le opportunità offerte dallo svolgimento del proprio programma per fare opera di educazione e sensibilizzazione, ma è innegabile che l’istruzione alla legalità, per la vastità degli argomenti affrontati e la sua stringente attualità, sia meritevole di essere insegnata come materia a sé stante, con una propria cattedra e un proprio monte ore da docenti abilitati, fin dalle scuole medie.

La mia recente intensa attività presso il foro di Torino, su casi di violenza di genere presso le scuole medie inferiori e superiori, lascia spazio a una constatazione di fondo: gli adolescenti, in questo non aiutati dal contesto ambientale e familiare, spesso ignorano le possibili conseguenze della violenza perpetrata, non solo sulla psiche delle vittime, ma anche per se stessi; in altri termini, ignorano di commettere reati passibili di condanna, anche grave. Conoscenza delle fattispecie di reato, beninteso, non come aspetto meramente nozionistico, ma come ulteriore deterrente a non commetterne.

Una efficace istruzione alla legalità: insegnare ai ragazzi le nozioni di reato, lesione del diritto e pena, quale conseguenza della violazione , affidato necessariamente a professionisti della materia, risorse umane – tra l’altro – già in forza nella scuola pubblica italiana, in quanto assunte come docenti di diritto, costituirebbe un validissimo strumento di prevenzione delle violenze minorili. Non è affatto sufficiente, se davvero si vuole combattere la dispersione scolastica e ogni forma di delinquenza minorile, affidare lo studio del diritto nei bienni delle superiori e dell’educazione civica alle scuole medie, ad esperti esperti soltanto per l’attuazione di sporadici progetti scolastici. E’ necessario, così come accade per tutte le professioni, che il ruolo di insegnante dell’educazione civica sia svolto dal docente abilitato nelle discipline giuridico economiche. Specifico è, infatti, il suo bagaglio curriculare, il suo approccio alle tematiche da trattare, la sua sensibilità a canalizzare la vasta tipologia di comportamenti violenti entro fattispecie delle quali è necessario conoscere anche il corollario della regolamentazione giuridica oltre che le mille implicazioni socio-culturali.

Pertanto, ringrazio nuovamente i presenti e tutti coloro che vorranno sostenere l’insegnamento delle discipline giuridico economiche per il bene dei nostri ragazzi.”

[Fonte / Web: https://www.orizzontescuola.it/istruzione-alla-legalita-deve-diventare-materia-stante-affidata-docenti-abilitati-anche-alle-scuole-medie/ ]

Influencer e adolescenti: il fenomeno sta diffondendosi a macchia d’olio tra bambini e adolescenti. “Sarà perché trascorrono molto tempo online”, ha affermato Maura Manca, psicologa e psicoterapeuta, a #genitorisidiventa, su Radio Cusano Campus. Qual è la funzione dei genitori? Quali sono i rischi che il rapporto comporta?

“Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, il 17% dei ragazzi delle scuole superiori ha provato a fare dei video imitando i propri youtuber preferiti, contro una percentuale nettamente più alta che si aggira intorno al 32% nei ragazzi che frequentano le scuole medie. Il desiderio più grande sembra essere quello di seguire il loro stesso percorso, ovvero di diventare ricchi, famosi e popolari, facendo un lavoro divertente e che apparentemente non costi impegno e fatica: infatti, più di 4 adolescenti su 10 vorrebbe diventare uno youtuber di successo, mentre il dato aumenta alle medie, in cui più di 6 preadolescenti su 10 desidererebbero diventarlo.” Agi.it

Quali sono gli effetti degli influencer sulla psicologia dei fans?
“Influenzano chi li segue, non solo da un punto di vista di mode e consumo; lanciano mode sull’abbigliamento, sugli oggetti da utilizzare. Basti pensare allo spinner, lanciato da un influencer, dopo poco milioni di bambini giocavano con quell’oggetto. Dal lancio della moda alla messa in atto di questa stessa, l’intervallo di tempo è molto breve. I bambini piccoli seguono assiduamente questi modelli, tutto ciò accade per essere accettati e riconosciuti, socialmente”, ha affermato Maura Manca.

Quale rapporto si instaura tra gli influencer e gli adolescenti?
“E’ una relazione senza distanze: diventano amici, si conoscono, parlano. Molti seguaci arrivano a confidarsi. Ho seguito casi di ragazze che hanno parlato dei loro problemi più intimi ai loro influencer. Rispetto al passato i nuovi idoli non sono distaccati, ma diventano parte integrante dei seguaci.”

La funzione, e il ruolo del genitore
“Il genitore deve monitorare i contenuti dei video, molte mamme e papà non conoscono i contenuti dei video degli influencer. Bisogna che i contenuti vengano monitorati e filtrati costantemente.”

[Fonte / Web: http://www.tag24.it/198994-influencer/ ]

I 21 ragazzini sono accusati di avere tormentato un coetaneo.

Rimini, 17 gennaio 2018 - Massacrati sul web, sia loro che le famiglie. I 21 ragazini della Valmarecchia indagati per avere, secondo le accuse, tormentato per anni un ragazzino della zona sono finiti nel tritacarne dell’etere. Il popolo di internet ha aperto il canale dell’odio e ora le famiglie dei minorenni si dicono pronte a denunciare per il linciaggio mediatico.

«In riformatorio subito come una volta!», «Se i genitori invece di difenderli li prendessero a schiaffii vedrai che la storia sarebbe diversa...», «Da punire loro e i genitori...». ««I genitori sono in parte colpevoli anche loro, quindi devono pagare le conseguenze...». Questi sono solo i commenti meno feroci postati sul web dalla gente che si è scatenata contro i minorenni che in questi giorni compariranno davanti ai carabinieri della Compagnia di Novafeltria per essere sentiti. Dopo l’accusa di stalking aggravato formalizzato dal Tribunale dei Minori, i militari stanno cercando di ricostruire come sono andate esattamente le cose, e soprattutto accertare le reali responsabilità di ognuno, non escludendo che per alcuni di loro tutto possa finire in una bolla di sapone. Alcuni dei ragazzini, dicono, sono ora terrorizzati all’idea di venire identificati e presi di mira, soprattutto dopo che la rete si è scatenata e li ha già processati e condannati. I commenti postati sono stati talmente feroci che uno dei minorenni, di 14 anni, non vuole più andare a scuola. Cinque famiglie, rappresentate dall’avvocato Umberto De Gregorio, sono pronte a presentare denunce nei confronti dei ‘leoni da tastiera’.

«I miei giovani assistiti – spiega De Gregorio – non conoscono nemmeno la vittima e giurano di non essere colpevoli di quello di cui li accusano. Sono stati visti insieme agli altri in piazza e ci sono finiti in mezzo. Siamo convinti che al più presto la loro posizione verrà archiviata, ma intanto ci sono cinque famiglie disperate. Il fatto di vedersi additati come genitori che hanno dato ai loro figli una cattiva educazione, fa male. Stiamo parlando di gente perbene, e non si può leggere che bisogna dare un badile in testa a un ragazzino di 14 anni». Il posto è piccolo e la paura principale è quella, appunto, che vengano identificati. «Questi ragazzi non possono essere rovinati – continua De Gregorio – nè subire ripercussioni psicologiche come sta accadendo. Hanno solo 14 e 15 anni. La persona offesa deve essere assolutamente tutelata, e che si faccia di tutto per la sua persona e per la sua difesa. Ma guai se questa dovesse comportare, per eccessi oppure per errore, la serenità di altri minorenni».

[Fonte / Web: http://www.ilrestodelcarlino.it/rimini/cronaca/baby-bulli-web-1.3667143 ]

Perché tanti ragazzi rischiano di avvelenarsi con le pastiglie della lavatrice? Si tratta della Tide Pods Challenge, l’ultima sfida social che, negli Stati Uniti, sta spopolando i rete tra gli adolescenti, un gioco pericoloso che ha già provocato 37 casi di intossicazione.

 

Non è il primo gioco autolesivo, e purtroppo non sarà di certo l’ultimo: giochi di questo tipo, in cui ci si fa intenzionalmente del male sono numerosi e si diffondono ciclicamente. Ricordiamo, ad esempio, la Eraser Challenge, una sfida che portava i ragazzi a procurarsi delle vere e proprie abrasioni sulla pelle, sfregando una gomma da cancellare sulla mano o sul braccio, oppure la Salt and Ice Challenge, che consisteva nel provocarsi ustioni con il sale e con il ghiaccio.

In cosa consiste?
La sfida consiste nel prendere le capsule di detersivo per lavatrici, mettersele in bocca e cominciare a masticare, fino alla fuoriuscita di sapone, ma non sono mancati casi in cui i ragazzi sono arrivati anche a mangiarle. La cosa più importante è riprendere tutto con il proprio smartphone, per poter condividere immediatamente le foto o i video su diversi social come Facebook, Instagram o Twitter, con l’hashtag #TidePodsChallenge, diffondendo ancora di più la social moda.
I rischi ci sono e non vanno sottovalutati: secondo quanto riportato dalla Consumer Product Safety Commission, ingerire detersivo, può provocare diversi sintomi tra cui vomito, intossicazione, difficoltà respiratorie, tosse e soffocamento, irritazione agli occhi o dolore, stanchezza e perdita di coscienza. Nei casi più gravi, gli effetti collaterali includono coma, convulsioni e ustioni allo stomaco.

Sfide autolesive sempre più diffuse tra gli adolescenti: cosa scatta nella loro testa?
Sembra assurdo pensare che lo facciano davvero per gioco, che seguano questi giochi autolesivi in cui mettono intenzionalmente a repentaglio la loro salute, fino a rischiare di procurarsi dei segni permanenti o addirittura, in alcuni casi, di mettere a repentaglio la propria vita. Si tratta in parte dell’effetto del web sulle menti dei ragazzi, non tutte ovviamente, soprattutto su quelle più predisposte e in cerca di approvazione social, di popolarità e di viralità.

Fin dove si possono spingere, dunque, gli adolescenti di oggi per un like? Fino anche a rischiare la vita. L’ho chiamata Generazione Hashtag, in un mio libro dal titolo omonimo, la generazione che risponde al richiamo del # e delle Challenge, ossia delle sfide online in cui gli adolescenti si sfidano pubblicamente a mettere in atto tutta una serie di comportamenti, anche molti rischiosi e pericolosi, per mettere poi in mostra le loro gesta, sulla vetrina dei social, dimostrare il loro coraggio e ricercare approvazione e conferma rispetto al loro ruolo.

La continua diffusione di queste Challenge è molto preoccupante, perché l’influenza del web rischia di esasperare questi comportamenti, di stimolare le menti distorte dei ragazzi e portarli a ricercare e a mettere in atto comportamenti sempre più al limite. Agiscono in preda all’adrenalina del gioco e del momento, si divertono e lo fanno anche per emulazione, per non essere tagliati fuori, senza considerare i rischi per la salute.

È fondamentale dunque che, attraverso la guida e il sostegno degli adulti, i ragazzi imparino a sviluppare un senso critico adeguato, che li possa tutelare maggiormente e possa renderli consapevoli delle conseguenze di certe azioni pericolose.

di Maura Manca

[Fonte / Web: http://www.adolescienza.it/challenge-sfide-social-mode/adolescenti-che-masticano-capsule-di-detersivo-che-cose-la-tide-pods-challenge/ ]

 

 

Quattordici ragazzini indagati per stalking. Tutti tra i 15 e i 18 anni. L’ipotesi di reato è stata formulata nei loro confronti dalla procura minorile di Bologna a causa dei ripetuti comportamenti della ‘banda’: gli adolescenti, tutti residenti in Valmarecchia, a più riprese durante la notte suonavano il campanello all’abitazione di un loro coetaneo. Nella denuncia la madre del ragazzino ha raccontato che i bulli deridono continuamente il figlio e lo minacciano, fino ad arrivare, appunto alle molestie notturne corredate anche da lancio di oggetti nel giardino.

 

Un altra storia di bullismo, invece, arriva da Forlì. Come riporta Il Corriere di Romagna, si tratta di un ragazzino sofferente di una leggera forma di autismo che nel settembre 2015 è stato preso di mira da tre coetanei in un paese del Forlivese. A giorni, giovedì 18 gennaio, si aprirà il processo per il fatto: quel pomeriggio i tre invitarono l’amico a casa di uno di loro con la scusa di un torneo di playstation. Invece, in assenza dei genitori, successe di tutto: l’adolescente, allora 16enne, fu costretto a subire una doccia fredda vestito, fu presi a calci e pugni con una tale violenza che il suo apparecchio dentale si ruppe e fu anche costretto a leccare degli sputi per terra. L’episodio è venuto fuori a fatica perché i tre avevano minacciato la vittima con un coltello con la classica frase da film “se parli ti ammazziamo”. Poi il ragazzino, che nelle settimane successive non voleva più andare a scuola per timore di incontrare i propri aguzzini, ha trovato il coraggio e ha dato il via all’iter legale. I legali del ragazzino hanno chiesto 70mila euro di danni.

[Fonte / Web: http://www.emiliaromagnamamma.it/2018/01/bullismo-14-indagati-perche-suonano-campanelli-ragazzo-autistico-menato-dagli-amici/ ]

di Carlo Macrì

«Ho aiutato tante donne, non sono riuscita a salvare mio figlio». Katia Villirillo vive il suo dolore nel modesto appartamento di 40 metri quadri al primo piano alla periferia di Crotone. Fondatrice dell’associazione «Libere donne» e mamma di Giuseppe ucciso ad appena 18 anni, abbraccia le centinaia di donne venute a confortarla. Molte salvate dalla strada e dalla droga e oggi pronte a stringersi a lei che dal 2009 si prende cura di quanti, in questa città, le hanno chiesto aiuto. «Ho dato tanto a Crotone con la mia associazione, ma mi hanno lasciata sola a combattere il malaffare e le ingiustizie. Mio figlio è morto soltanto perché uno spacciatore si era messo in testa che la mia famiglia spiasse i suoi loschi affari» dice Katia. Salvatore Gerace, l’assassino che sabato pomeriggio ha ucciso Giuseppe, abita con sorella, cognato e nipote di fronte alla sede dell’associazione «Libere donne». Questa vicinanza gli ha fatto credere che quello fosse una sorta di punto di osservazione in una zona degradata della città spesso popolata da tossici, rapinatori e prostitute.

«Ho scelto di aprire la sede dell’associazione in questo posto proprio perché c’era l’esigenza di contrastare il malessere sociale. Questo impegno non è stato visto di buon occhio da nessuno, neanche dalle istituzioni» attacca Katia. «È per questo che mio figlio è morto, ma io non voglio arrendermi, non abbandonerò i miei progetti e il mio impegno». La donna racconta come è maturato l’assurdo delitto: «Quell’uomo diceva di sentirsi spiato, aveva paura di essere ucciso o di finire in galera e ha deciso di punirci. Sabato quando ha visto arrivare Giuseppe in moto ha pensato a un regalo delle forze di polizia per le sue soffiate. È entrato nella stanza mentre io e i miei tre figli e la fidanzata di Giuseppe stavamo prendendo un caffè. Ha iniziato a sparare senza dire nulla. Mi sono precipitata fuori gridando, per chiedere aiuto. Un proiettile ha colpito Giuseppe alla spalla. Sono rientrata per soccorrerlo e mentre lo stavo alzando da terra lui gli ha sparato il colpo di grazia al cuore». L’omicida è poi salito a casa sua ed è ridisceso con le stampelle e quando si è consegnato al capo della Mobile Nicola Lelario ha detto di essere stato colpito alle gambe e che non si reggeva in piedi. Dopo l’interrogatorio in questura è stato portato in carcere con una sedia a rotelle, perché diceva di non poter camminare. L’uomo, 57 anni, aveva finito di scontare tre anni di carcere un paio di mesi fa. Era tornato a vivere a Crotone e continuava a fare lo spacciatore. Si era comprato un revolver e qualche giorno fa aveva atteso sotto casa l’arrivo di Katia Villirillo. «Guarda ho una pistola, stai attenta a quello che fai tu e i tuoi figli» le aveva gridato.

Una minaccia, una delle tante che l’uomo, ormai da tempo, faceva alla famiglia di Katia. Lei non gli aveva dato molto peso, abituata a subire di tutto in questi anni. Un lungo l’elenco che snocciola come un rosario: «Avevo chiesto al Comune l’installazione delle telecamere di sorveglianza e non mi hanno dato ascolto; avevo sollecitato il ripristino del numero verde per l’associazione e hanno fatto finta di non sentire; avevo implorato una protezione e hanno ignorato le mie preoccupazioni». Dopo il delitto i familiari dell’assassino hanno chiesto perdono. «Solo ora si ricordano di me, dopo che ho perso un figlio? — chiede in lacrime Katia — Perché non gli hanno sequestrato la pistola prima?». La morte di Giuseppe ha scosso tutti a Crotone. L’amministrazione comunale ora ha deciso di occuparsi di Katia Villirillo, mentre per il giorno dei funerali è stato proclamato il lutto cittadino con l’impegno a costituirsi parte civile al processo.

[Fonte / Web: http://27esimaora.corriere.it/18_gennaio_14/volevo-salvare-donne-mi-hanno-ucciso-figlio-ma-non-posso-arrendermi-215b8a3a-f968-11e7-908c-5ec0ce9694cc.shtml ]