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Hanno filmato tutto e poi hanno diffuso il video sui social. È servito l'intervento della Squadra Mobile di Ragusa per farli pentire del gesto. Due sono stati denunciati per violenza privata

Solo qualche giorno fa l’appello di Papa Francesco contro il bullismo ai giovani riuniti nello stadio San Siro di Milano. E chissà se il ragazzino vittima di uno scherzo terribile a Ragusa non sia stato incoraggiato a denunciare gli abusi dal richiamo di Bergoglio. Un adolescente siciliano, più volte preso in giro da un gruppetto di coetanei, è stato costretto a spogliarsi e ballare nudo alla fermata dall’autobus, davanti a una ragazza, mentre il branco lo riprendeva. Quelle immagini umilianti sono poi puntualmente finite sui social network. La vittima però volta si è ribellata e ha raccontato tutto a un insegnante della scuola superiore che frequenta. Il professore ha informato il preside che a sua volta ha allertato gli agenti della Squadra Mobile della città.

Dopo aver ascoltato il ragazzo davanti al padre e ad alcuni psicologi, i poliziotti hanno interrogato i responsabili, che prima si sono contraddetti a vicenda, poi hanno confessato e sono scoppiati a piangere sostenendo di voler fare soltanto uno scherzo. Gli agenti li hanno fatti scusare con il compagno a riprova del loro pentimento. Due però – secondo quanto riporta La Sicilia – sono stati denunciati per violenza privata. Il ragazzino, che in passato aveva accettato di essere coinvolto in scherzi pesanti per non essere escluso dal gruppo, è stato infatti circondato da cinque o sei coetanei che lo hanno anche colpito per costringerlo a togliersi i pantaloni. Le immagini riprese con uno smartphone sono state pubblicate in diretta su Instagram per 24 ore.

“La polizia di Stato – spiega il capo della Mobile Antonino Ciavola a Il Giornale – ha condotto un’indagine brevissima quanto efficace per appurare i fatti narrati coraggiosamente dalla vittima, mettendo fine alle angherie e prevenendo ulteriori fatti illeciti. Fondamentale il rapporto tra scuola e Squadra Mobile, risultato efficace per una risoluzione del problema a poche ore dalla denuncia. Gli uffici della Squadra Mobile sono pronti ad accogliere le vittime del bullismo in qualsiasi momento”.

[Fonte / Il Fatto Quotidiano / 30-03-2017: https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/30/ragusa-bulli-obbligano-compagno-a-ballare-nudo-mentre-aspetta-lautobus/3486244/ ]

Marco ha 16 anni, fa il professionale in una scuola di periferia, a Torino. Il suo calvario comincia nel 2013, ma servono due anni di torture e finire quasi morto, perchè trovi il coraggio di raccontarle.

Due compagni di scuola, più grandi di un anno, lo stupravano con un ombrello, lo costringevano a mangiare cacca di cane e lumache vive, a bere fino a cadere tramortito e dopo lo abbandonavano svenuto nel fango, gli dicevano che doveva dimostrare di non essere omosessuale.
Quando ha saputo di dover testimoniare al processo, Marco ha avuto una crisi di nervi tremenda , è scappato di casa. La sua tortura dura anche adesso, lo seguono gli psicologi ma non ha più vita.

E se fosse capitato a nostro figlio?
I due bulli, che negano tutto, sono stati condannati ieri. 8 anni e mezzo in carcere, interdizione perpetua dai pubblici uffici e da lavori che riguardino minori.
I giudici del Tribunale ordinario che li ha giudicati, perché sono diventati maggiorenni all’epoca delle torture, hanno detto di aver scelto una condanna “esemplare”. Gli avvocati dei due bulli hanno annunciato ricorso.
Io credo, magari sbaglio, che dovremmo provare ad affrontare la violenza del bullismo rompendo il plancton di cui si nutre.
Credo che i bulli si sentano invincibili e impuniti, perchè da minorenni rischiano al massimo l’affidamento ai servizi sociali.

Quando New York era un posto dove ti ammazzavano per strada, dove in certi quartieri non potevi andare, il sindaco Giuliani inventò la “tolleranza zero”. L’idea era di insegnare ai newyorkesi il principio di legalità, punendo con pene certe e gravi anche i reati minori. Funzionò.
Il bullismo comincia con le angherie e arriva fino alle torture e allo stupro.
Se passa nella testa di chi fa violenza ai compagni la paura di essere condannati , invece che ammirati e temuti , io credo che avremmo fatto il primo passo per restituire ai nostri figli la dignità e la fiducia.

Articolo di Antonella Boralevi / https://facebook.com/antonellaboralevi / www.antonellaboralevi.it

[Fonte articolo / La Stampa / 31-10-2017: http://www.lastampa.it/2017/10/31/societa/lato-boralevi/sentenza-a-torino-diciamo-ai-ragazzi-che-i-bulli-vanno-in-carcere-per-anni-aR4FZUz5jh3Hs4hWAGG4SO/pagina.html ]

Ringraziando della partecipazione all'inaugurazione dei nostri "Sportelli di Ascolto" di Montagnana ed Este, pubblichiamo qui gli articoli che ci hanno dedicato i giornali.
Grazie e... contattateci!

Genova - Nella rubrica era “SimpaSchiavo”, perché - appunto - lo schiavizzavano. E adesso ci sono le prove più pesanti, 100 mila messaggi in cui lo chiamano «cane», si raccontano uno con l’altro come gli hanno «sparato ai piedi mentre gli dicevamo “balla!”», ricattandolo fino allo «show degli show» che si concretizza durante una vacanza. Nella quale, come scrivono gli inquirenti, un ragazzino di 17 anni finito nel mirino dei compagni di classe-bulli viene tenuto al guinzaglio «deriso, picchiato e umiliato... fatto uscire in piena notte, nudo, in mezzo alla neve, dileggiato da tutti senza che nessuno si preoccupi di soccorrerlo o mostrare un minimo di pietà. E alla fine viene esposto come un trofeo per le foto di rito».

La Procura per i minorenni ha depositato negli ultimi giorni la perizia affidata a un consulente informatico sui cellulari sequestrati ai cinque aguzzini di Matteo (nome di fantasia) al momento dell’arresto, scattato a fine marzo. Gli autori dei soprusi sono ricchissimi rampolli di alcune tra le famiglie più abbienti della città, imprenditori, medici e avvocati residenti nei quartieri di Albaro, Carignano e Castelletto. E i due piccoli “boss”, secondo il pm Maura Macciò, sono il figlio d’una coppia di docenti universitari e il discendente d’una nota famiglia d’industriali, che vive in un attico con piscina. Le accuse: sequestro di persona, estorsione, stalking, lesioni aggravate. Sia la vittima (assistita dai legali Giovanni Ricco e Alessandro Costa) che i suoi aguzzini (difesi tra gli altri da Chiara Antola, Alessandro Vaccaro e Paolo Costa) frequentavano la stessa scuola, un istituto ultra esclusivo dove la retta costa 7 mila euro l’anno. «La chat - si legge nel dossier dei pubblici ministeri - riassume bene il clima di assoluta sopraffazione cui era sottoposto Matteo».

Il 6 novembre 2016 gli studenti, che hanno organizzato le comunicazioni su vari gruppi WhatsApp, cominciano a infierire sul loro bersaglio accusandolo di non obbedire agli ordini di tutti i componenti della banda (i nomi sono diversi da quelli reali). Carlo: «Marco è il tuo padrone ora...». E la vittima: «Io non ho un padrone, a quanto pare a essere gentili si ottiene che si ha un padrone...». Di nuovo Carlo: «Non mentire perché tanto si vede», prima di mandargli una foto in cui mima il taglio della gola. Matteo è soggiogato e prova a giustificarsi: «Faccio più favori a Massimo semplicemente perché me ne chiede di più, ripeto, lo farei a chiunque altro di voi. E fino a qualche settimana fa eri tu il padrone».

Pochi giorni ed è Marco a inviare a Matteo uno degli innumerevoli elenchi di cose da fare per lui, una sorta di routine nella gang. «La mia lista: comprami un panino al prosciutto e formaggio, giocami la schedina e vienimi a prendere». Matteo: «Ok, faccio quello che vuoi». E il gioco diventa un autentico flagello.

«La costrizione di Matteo sulle schedine - spiegano gli investigatori - è sistematica... la richiesta è costante, quasi giornaliera, estremamente pressante e non si ferma davanti a nessuna obiezione o difficoltà». Matteo: «Raga io non ce la faccio a trovare tutti i soldi, ve ne ho già anticipati tanti». Marco: «Non voglio sentire scuse, prendi 80 euro a casa e organizzati. Devi farmi anche la matta porco... I don’t know where you are, but I will find you and I will kill you... (“non so dove sei ma ti troverò e ti ucciderò”, ndr)». Bastano minutaglie per generare reazioni spropositate. «Il rifiuto di Matteo di giocare le schedine ha portato desiderio di vendetta in chi non è stato soddisfatto, e ilarità negli altri che partecipavano alle angherie con aria divertita». E lo certifica l’intervento di Stefano: «Non gioca una schedina perché sta male, ah ah, vuole dimostrare che non abbiamo comando su di lui... quanto c... mi diverto».

Il 10 dicembre 2016 «Massimo si lamenta con Marco del fatto che Matteo non obbedisce a tutte le richieste... e progettano di dargli una lezione in occasione delle vacanze a Prato Nevoso... I soldi vengono chiesti anche per acquistare “i giochi”, come sono chiamati gli spinelli e la cannabis... Il sistema di finanziamento per i vizi del gruppo è così radicato che le obiezioni di Matteo non sono tenute in considerazione e chiunque si sente autorizzato ad approfittarne». Soprattutto: «Le estorsioni di denaro - scrive il consulente dei magistrati - sono unite a vessazioni fisiche a ogni incontro, indipendentemente dal fatto che esegua o meno gli ordini impartiti. Diventa il punto di riferimento per ogni scherzo e sfogo».

Per capire da dov’era partita l’escalation viene citato uno scambio WhatsApp sul deragliamento d’una festa domestica. Scrive uno dei bulli: «Voi non avete idea di cosa gli facevano Francesco e Luigi con quel c... di fucile (intende una specie di arma spara-pallini comprata in centro, ndr)... a un certo punto in terrazzo Francesco gli ha detto “balla” e ha iniziato a sparargli sui piedi... e Matteo è letteralmente scappato...poi ci ha offerto il taxi». E un altro aggiunge: «Che schiavo ah ah!». Il racconto della giornata è ridondante: «A un certo punto ho sentito la porta di casa chiudersi, siamo andati di sopra a vedere e Matteo non c’era più. C’era una finestra aperta perché voleva simulare un suicidio... quando abbiamo visto che stava uscendo lo abbiamo inseguito gridando “ti cerchiamo, ti troviamo, ti uccidiamo”». Stefano aggiunge: «Se fa il furbo divento un poliziotto di Bolzaneto in un attimo!». Uno dei più crudeli è Carlo: «Matteo - scrive alla vittima - se continui a fare wof, appena torno e ti vedo ti appizzo e inizio a fumarti come una sigaretta finché non griderai basta e rimarrà solo la tua testa». Matteo: «Ma Carlo io cosa posso farci? Vi ringrazio per ospitarmi e tutto, però secondo me non è che sia ’sto dilemma enorme se io vengo da voi e non voi da me..» Carlo: «Non mi provocare, finiscila cane!». Matteo: «Ma perché dovete comportarvi come se fosse una dittatura? Non voglio fare la sigaretta...».

[Fote e Articolo della fonte web/"Il Secolo XIX" del 21 Ottobre 2017: http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2017/10/21/ASSHYgBK-scuola_smaschera_bulli.shtml ]

Ricordiamo il ragazzino riminese di 10 anni frequentante il centro estivo vittima di insulti, botte e brutti scherzi? Aleggiava il silenzio fino a quando il suo occhio nero ha parlato chiaro.

Ricordiamo anche la tredicenne di Valmarecchia sempre nel riminese, suicida a causa di quello che viene chiamato bullismo?

Sul web si possono trovare purtroppo molte storie agghiaccianti di sofferenza sommersa per troppo tempo e poi tutto d’un tratto fare notizia con eventi tragici che ci colpiscono, sia per per la giovane età delle vittime, sia per il fatto che nessuno se ne accorge al momento giusto.
Ma come questo può accadere?

Per cominciare, iniziamo a comprendere cosa significa la parola “Bullismo”, termine purtroppo tanto di moda che corrisponde ad un fenomeno riconosciuto spesso troppo tardi.

I”Bullismo” prende origine dall’ olandese “boel” che significa fratello. Tale termine nel mondo anglosassone si trasforma nella parola “bully” inteso come “tesoro rivolto a persona”. Quindi in un primo momento il bullo era il “bravo ragazzo” e solo in seguito si arriva all’idea di prepotente e di molestatore. Le caratteristiche di chi agisce il bullismo sono la giovinezza e la volontà di bersagliare le vittime ritenute incapaci di difendersi.

Il bullo nasconde la propria vigliaccheria con un’apparente forza circondandosi di alleati che collaborano alle azioni intenzionali e ripetute di violenza fisica e/o psicologica. Tali comportamenti possono andare da maldicenze a svalutazioni della persona, umiliazioni fisiche e psicologiche, esclusione dal gruppo fino ad arrivare a violenze fisiche e sessuali senza esclusione di una vera e propria istigazione al suicidio.

La vittima può essere scelta per diversi motivi come la timidezza, il non appartenere a quel gruppo, come uno straniero, oppure anche dal semplice fatto di essere un bravo studente o sportivo. Chi viene prescelto, in un primo momento è circuito, indebolito, isolato e solo quando diventa debole, viene reso vittima. È un processo lento e silente, per questo occorre un’attenzione particolare sia da parte dei genitori che dagli insegnanti. Non solo le famiglie delle vittime devono osservare e aiutare i propri figli, ma anche quelle dei così detti bulli, in quanto anche questi ragazzi necessitano di sostegno e si potrebbe evitare così che agiscano in modo violento verso i propri compagni.

Mentre i bulli, se non vengono scoperti in azioni perseguibili legalmente, la passano liscia, le conseguenze in chi subisce questo tipo di violenza possono esser molto gravi. A livello psicologico la vittima si convince piano piano che il bullo ha ragione nel trattarla in malo modo e proprio per questo non si confida con nessuno. Pensa che tutti gli altri siano migliori e ha la sensazione di essere giudicata.

A breve termine la vittima può accusare mal di stomaco, mal di testa, disturbi del sonno, incubi, ansia, problemi di concentrazione e quindi scolastici. Ci può essere, riluttanza ad andare a scuola o in ambienti ricreativi o sportivi. A lungo termine possono insorgere comportamenti autolesivi, disturbi del comportamento alimentare, uso di sostanze, depressione fino ad arrivare a ideazione e attuazione di suicidio.

A livello sociale e culturale stanno nascendo tante iniziative atte a combattere questo fenomeno purtroppo ancora molto forte e preoccupante. Di notevole spessore è la famosa serie TV Tredici che racconta come finisce la vita di una giovane studentessa. Gli episodi sono scanditi dal susseguirsi di audiocassette registrate dalla protagonista in cui vengono raccolti tutti gli elementi di come una ragazza bella e intelligente diventa oggetto di bullismo, di come lei si sente e di come i suoi compagni di scuola la maltrattano o non riescono fare nulla perché il peggio possa accadere.

Neppure la famiglia o chi si innamora di lei riesce a riconoscere e fermare quel dolore che la uccide. Senza entrare nei particolari per chi volesse guardare questa serie tv, è bene sottolineare che anche in presenza di strumenti e affetti che abbiano il potere di evitare il peggio, non vi sia stata via di uscita, in quanto di solito il bullo con uno o più alleati agisce su chi percepisce debole e solo. Gli altri compagni non intervengono rimanendo neutri e lasciando quindi, in silenzio, spazio all’azione violenta.

La giovane protagonista infatti non percepisce il gruppo dei compagni, non registra una audiocassetta per tutti, ma una per ogni persona che non ha fatto nulla per lei.

Stiamo vicini quindi ai nostri giovani non sottovalutando alcun segnale, anche se ci sembra insignificante, senza tuttavia essere invadenti, altrimenti perderemo ogni canale di comunicazione.

Articolo di Marica Malagutti / 13 Ottobre 2017

[Foto e Testo articolo tratto dal web/"La voce del Trentino": http://www.lavocedeltrentino.it/2017/10/13/silenzio-del-bullismo-puo-portare-gravi-conseguenze/ ]

Sono una mamma,
avevo tante aspettative e nutrivo curiosità per la mia partecipazione attiva e della mia Associazione "David e Golia" a questo convegno, sul tema della "Funzione delle Strutture Tutelari socio sanitarie minorili". Ho capito che sono tante le persone ed esperti che, a vario titolo, hanno a cuore e supportano i minori con problemi importanti. Purtroppo se ne parla poco di queste strutture e di quanto siano determinanti sul territorio, probabilmente per tutelare i minori.
Ho voluto dare la mia testimonianza personale non tanto per parlare del dolore di una madre, per la perdita di un figlio meraviglioso, ma per dare il mio contributo di esperienza diretta di quello che in questi anni ho capito nell'ambito del bullismo e della criminalità minorile.
Questo convegno è stata un'esperienza che mi ha arricchito molto soprattutto per le parole fraterne di condivisione e di incoraggiamento a proseguire nella mia attività, espresse da tutti gli esperti presenti.
Ho capito che tutti insieme, a vario titolo, si può portare avanti un obiettivo comune, si può curare, seguire e dare un futuro ai ragazzi più sfortunati.
Ringrazio con amicizia e stima la Dott.ssa Donatella Mereu, tutti i relatori e le personalità presenti a vario titolo. Un ringraziamento particolare al Procuratore Guido Papalia che ha condiviso alcuni miei pensieri.

Annapaola Borghesan,
mamma di David

Mai come in questi anni la tematica del bullismo è stata portata all’attenzione dell’opinione pubblica. Questo perché a causa delle recenti evoluzioni della pratica stessa, che ora si avvale anche delle nuove tecnologie come internet ed i social per diventare un’incubo senza fine portando gli adolescenti ad uno stato depressivo tale che può indurre al suicidio. Per spiegare in che modo la tecnologia e sopratutto gli smartphone abbiano influito sul bullismo ci avvaliamo delle dichiarazioni rilasciate ad una trasmissione radiofonica dall’Ispettrice capo del Corpo Nazionale di Polizia spagnolo Esther Aren Vidal, esperta nella lotta contro la violenza su minori e relative pratiche informatiche.

Mai come in questi anni la tematica del bullismo è stata portata all’attenzione dell’opinione pubblica. Questo perché a causa delle recenti evoluzioni della pratica stessa, che ora si avvale anche delle nuove tecnologie come internet ed i social per diventare un’incubo senza fine portando gli adolescenti ad uno stato depressivo tale che può indurre al suicidio. Per spiegare in che modo la tecnologia e sopratutto gli smartphone abbiano influito sul bullismo ci avvaliamo delle dichiarazioni rilasciate ad una trasmissione radiofonica dall’Ispettrice capo del Corpo Nazionale di Polizia spagnolo Esther Aren Vidal, esperta nella lotta contro la violenza su minori e relative pratiche informatiche.

L’Ispettore capo fa notare come molte persone siano convinte che il bullismo sia lo stesso da sempre, ma lei controbatte dicendo: “No, adesso è una realtà completamente differente. Prima, con il bullismo scolastico c’erano delle prove, ti vedevano, c’erano dei testimoni. Ora, invece, avviene tutto attraverso la rete“. Il pericolo, spiega l’Ispettore Vidal, non giunge solamente dal cyberbullismo (pubblicazione di insulti o immagini che minano la privacy e la dignità di ragazzi e ragazze), ma anche del sexting (la pratica di mandare foto osé) e del grooming (ovvero la possibilità che un minore venga circuito da un adulto).

Le minacce che i ragazzini corrono su internet sono molteplici e spesso nell’età della crescita questi non sono in grado di fronteggiarle. Per questo motivo la Vidal spiega che sarebbe bene non fornite degli smartphone ai figli prima che abbiano compiuto 12 anni: “Gli esperti dicono che non si dovrebbe avere un cellulare prima di aver compiuto 12 anni, men che meno con una connessione internet. Per quanto riguarda WhatsApp non di dovrebbe avere prima dei 16 anni, lo affermano gli stessi curatori della app, ma questo non lo sa quasi nessuno“.

L’ultimo avvertimento che l’Ispettore capo rivolge ai genitori riguarda Instagram e l’abuso dei selfie da parte delle bambine di 10 anni: “A quell’età non sono in grado di capire che una volta pubblicata una foto si perde completamente il controllo su di essa”. Il pericolo in questo caso non sono i ragazzini che le utilizzano per vessare la bambina, ma i pedofili, i quali sottolinea la Vidal: “Vanno alla ricerca di foto di bambini, per esempio foto di bimbi in spiaggia, le stesse che pubblicano i genitori”.

[Articolo originale / NewNotizie.it: http://www.newnotizie.it/2017/09/12/860400/ ]


di Luca Ingegneri / Il Gazzettino

PADOVA - Quattro insegnanti di una scuola elementare dell'Alta padovana sono indagate per abbandono di minore. È la conseguenza di una serie di episodi di bullismo che si sarebbero verificati tra gli studenti di una classe quinta. Nella vicenda s'imbattono quasi casualmente i carabinieri di Cittadella: è il 12 febbraio scorso quando un insegnante sollecita l'intervento dell'Arma per un litigio. La pattuglia varca i cancelli della scuola. I carabinieri scoprono che un genitore, in evidente stato di alterazione, ha appena aggredito e picchiato un compagno di classe del figlio, ritenendolo responsabile di atti di bullismo nei confronti del coetaneo.

Interrogato dagli investigatori dell'Arma, l'uomo ammette di aver sbagliato, e si affretta ad indicare i nominativi dei tre presunti bulli, di età compresa tra i 10 e gli 11 anni. L'aggressione sarebbe stata comunque un gesto per dimostrare al figlio «che il padre c'è sempre e prende sempre le sue difese». Ma l'uomo non si limita al raid. Una settimana più tardi si reca in caserma e formalizza una denuncia nei confronti dei tre coetanei del figlio. E non ha remore nell'accusare le quattro insegnanti, a suo dire responsabili di non aver vigilato a dovere sui ragazzi. I carabinieri raccolgono le testimonianze dei padri dei presunti bulli e di altri genitori. Si scopre che la vittima sarebbe stata emarginata dal terzetto.

Dispetti tra ragazzi, con forme di isolamento, minacce e aggressioni verbali. Questo il quadro tratteggiato dal procuratore aggiunto Valeria Sanzari, che non individua responsabilità penali. Tutto risolto quindi? Macchè: il padre della presunta vittima si oppone all'archiviazione. E lo stesso gip fa un approfondimento istruttorio. Le parti si ritroveranno in un'udienza a porte chiuse il prossimo 22 settembre. Probabile che venga disposto un supplemento di indagini.

[Articolo originale e completo / Il Gazzettino: http://www.ilgazzettino.it/nordest/padova/scuola_nella_bufera_padova_padre-3222473.html ]

Accompagnare i minorenni all'età adulta, proteggendoli dai rischi del web. È l'obiettivo ambizioso della legge 71/2017, prima in Europa a tipizzare le condotte di cyberbullismo e a prevedere una rete di strumenti preventivi.

La vera novità della legge è il tentativo di consegnare direttamente ai minorenni - dai 14 anni in su - la possibilità di segnalare la presenza di un contenuto illecito al gestore del sito o del social network e di inoltrare un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali. Cambia anche la rete di protezione attorno alle vittime di cyberbullismo che potranno contare sulla presenza in ogni istituto di un referente scolastico al quale la legge demanda il difficile compito di coordinare iniziative di prevenzione e contrasto anche avvalendosi delle forze di polizia. A livello giuridico la norma facilita l'onere della prova delle vittime di cyberbullismo, fornendo indicatori sui quali fondare la responsabilità per fatto illecito degli insegnanti per carente vigilanza (articolo 2048 Cc9. La scuola in caso di episodi di cyberbullismo, è chiamata a rispondere civilmente (articolo 28 della Costituzione e articolo 61/2 della legge 312/80) in virtù del rapporto organico del personale dipendente.

Oggi quindi la mancata nomina del referente scolastico potrebbe incidere sull'affermazione di responsabilità degli istituti scolastici, gravati di questo onere specifico. Tali obblighi giustificano i bandi regionali, già previsti, per i corsi di formazione destinati ai referenti che dovranno essere in grado di rispondere alle esigenze dei ragazzi. Più difficile ancorare una responsabilità penale di tipo omissivo ai referenti in quanto di per sé l'obbligo di coordinare le iniziative di prevenzione non equivale ad un obbligo di garanzia volto ad impedire gli eventi lesivi.

Sul fronte civilistico, tuttavia, già prima dell'entrata in vigore della legge 71/2017 la giurisprudenza considerava la diffusione di video illeciti on line quali attività del tutto prevedibili «in ragazzi di età pre-adolescenziale, dotati di telefonini abilitati a riprese video e generalmente fruitori di social network» (sentenza Tribunale di Brescia numero 1955, pubblicata il 22 giugno 2017). Per i giudiciè noto che la diffusone tra i ragazzi di video lesivi dell'altrui reputazione può verificarsi in orario scolastico e ciò basta per ritenere sussistente la responsabilità civile dell'istituto scolastico.

La legge per la prima volta introduce anche la definizione di cyberbullismo, non prevedendo tuttavia una fattispecie autonoma di reato, ma richiamando le condotte tipiche più ricorrenti, quali le molestie, le diffamazioni, i furti di identità e il trattamento illecito dei dati personali il cui scopo sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori. Il preside ha obbligo di avvisare i genitori qualora venga a conoscenza di fatti di cyberbullismo e di avviare progetti educativi mirati. Per evitare sovrapposizioni con l'azione penale, la nuova legge ha previsto questo intervento diretto del preside soltanto nei casi in cui il fatto non costituisca reato. Tra le novità per le scuole, quella di integrare i propri regolamenti scolastici includendo specifici riferimenti alle condotte di cyberbullismo e precisando le sanzioni disciplinari applicabili.

[Articolo originale / Il Sole 24 Ore: http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2017-08-14/bulli-online-scuola-risponde-sede-civile-174956.shtml?uuid=AEvV15AC ]

La migliore prevenzione del bullismo è l'educazione, sottolinea Javier Fiz Perez, docente di Psicologia all'Università Europea di Roma. E in cattedra per insegnare ai ragazzi l'empatia può salire anche un amico a quattro zampe. La Pet Therapy, infatti, può essere uno strumento d'aiuto contro il bullismo. E' uno dei temi di cui si è discusso oggi in occasione del seminario 'Le emozioni in classe. Il bullismo: linee guida per comprendere e agire', organizzato nell'ateneo romano con l'associazione 'Il Sole esiste per tutti'.

E' importante, spiega Javier Fiz Perez, insegnare, educare e formare oggi al rispetto e alla sana convivenza, per garantire a tutti un futuro migliore e più sereno. E secondo la psicologa Giorgia Caucci, fra i possibili strumenti per la gestione del problema del bullismo e di altre situazioni di difficoltà c'è proprio la Pet Therapy, che prevede interventi assistiti con gli animali. "A tutti i bambini e ragazzi piacciono gli animali, in particolare i cani - osserva Caucci - La Pet Therapy a scuola può essere di supporto sia con bambini 'difficili' (ritardo psicomotorio e disturbi del comportamento) sia con l'intera classe, agendo sulla socializzazione, sulla relazione e sulla collaborazione. Quando un cane entra in classe le dinamiche cambiano, lasciando spazio all'armonia e alla coesione che portano nell'ambiente emozioni positive. Non solo. Il gruppo classe si unisce e prende forza. Quindi i cani si trasformano in veri e propri maestri, insegnando ai ragazzi l'importanza dell'empatia, della pazienza, e dell'ascolto".

Attraverso il gioco con il cane, continua l'esperta, "i ragazzi imparano ad esprimere la loro vivacità, condividendola gli uni con gli altri, ricavandone sensazioni di benessere. Quindi, giocare con il cane a scuola permette di stimolare l'interazione sociale e l'autostima. Il cane riveste un ruolo affettivo, grazie alla capacità relazionale dell'animale stesso, che permette ai ragazzi un continuo scambio emozionale. Regolari incontri" con gli amici a quattro zampe "in classe possono aiutare ad arginare e a prevenire il fenomeno della dispersione scolastica, attraverso l'aumento della motivazione, del senso di responsabilità e di appartenenza dello studente alla quotidianità scolastica, anche grazie ad eventuale affiancamento mirato di soggetti a rischio durante le materie ritenute più difficili".

Nella lotta al bullismo, aggiunge Javier Fiz Perez, "il ruolo della famiglia e della scuola diventa assolutamente determinante in questo percorso, che implica un insieme di sfide e impegni di notoria complessità. Un fenomeno così devastante come il bullismo diventa decisamente deleterio per lo sviluppo di ogni bambino e adolescente. La ricerca scientifica è molto sensibile al fatto che dopo la seconda infanzia ci sono delle priorità psico-educative come l'affermazione della propria identità e personalità, l'autostima, l'accettazione da parte del gruppo dei coetanei. In questa ottica la creazione e tutela di contesti sani di socializzazione diventa essenziale per il raggiungimento di taluni obbiettivi".

Il lavoro di squadra è cruciale, conclude, "tanto più nei nostri tempi, con la presenza sempre più invadente del cyberbullismo che genera tante sofferenze di natura psico-fisica ai nostri ragazzi. Capire le cause ed educare in maniera preventiva è il modo più efficace per evitare, un domani, il fenomeno del mobbing nel contesto del lavoro, della violenza di genere e della prepotenza sociale in tutte le sue manifestazioni".

[Fonte: Web / http://www.adnkronos.com/salute/medicina/2016/05/21/fido-classe-per-insegnare-empatia-convertire-bulli_a34W1hTHggPbanOyDpJjuI.html ]